Perché rileggere “La dama di picche” di Pushkin può aiutarci a capire l’attualità della guerra russa in Ucraina

Prendo spunto dall’editoriale di Limes, nel numero di febbraio 2022, che proprio all’inizio della guerra ha stilato un azzeccato parallelo tra gli azzardi di Putin e quelli raccontati nella famosa opera di Aleksandr Pushkin, “La dama di picche”, scritta nel 1833, dal grande scrittore di San Pietroburgo.

Non vi starò a raccontare e a spiegare la trama dell’opera. Posso solo mettervi il link tratto da Wikipedia, così andate a leggere di che cosa tratta e tutta la bellissima storia. Ho trovato in rete un’interessante analisi psicologica de “La dama di picche”, a cura di Erica Klein, che vi suggerisco di leggere.

La prosa asciutta, quasi asettica di Pushkin, quasi l’autore fosse uscito dalla redazione locale di cronaca nera, ci fa ancora stupire della grandezza di questo autore, che è ascritto a monumento universale della letteratura russa, il primo dei “mostri sacri” della letteratura della “Matjushka Rossija”.

Il suo modo di descrivere trame condite da fantasticheria (il sogno della contessa di Hermann) con una fattualità improntata da grande realismo, fanno di Pushkin un “mostro” della letteratura universale. Pushkin riesce a scandagliare l’animo umano, con anche una fattualità giocosa, che descrive da un lato la realtà dell’alta società russa e dall’altro mette a nudo le ambizioni di un giovane (Hermann, il protagonista di origine tedesca), che è disposto a mettere in gioco tutto, pur di diventare ricco.


“Tre, sette, asso…

Tre, sette, dama…”

Come finisce, si sa. Hermann finisce pazzo in un ospedale e ripete le fatidiche parole che lo hanno portato all’autodistruzione della propria vita: “tre, sette, asso… tre, sette, dama”.

Ma torniamo alla lettura più semplice e intuitiva della storia:

  • La prima lezione ci dice che le persone non devono andare alla ricerca di facili guadagni di denaro. La prima lettura che si può dare dell’opera è quella più semplice e didascalica: Pushkin è semplicissimo nella sua lettura e nella sua comprensione. Lo capiscono anche i bambini. Inoltre il suo stile “piano”, scorre via liscio come l’olio, il problema è trovare una traduzione degna di questo nome. Posso dire che sono stato fortunato ad averlo potuto leggere in lingua russa ai tempi dell’Università.
  • La seconda lezione che ci dà Pushkin è quella di non fare affidamento sul Destino, perché il Destino, quello con la “D” maiuscola, non lo possiamo guidare, ma è lui che si prende gioco di noi. È una visione deterministica e fatalista, condivisibile o meno, ma sappiamo anche che la Storia della Russia e l’Anima del popolo russo sono sempre state dominate da una visione del Fato che comanda su tutto (solo all’epoca del socialismo sovietico la propaganda introdusse il Mito dell’Uomo che trionfa sul Fato e si fa da sé e costruisce il Bene).
  • La terza lezione che ci dà Pushkin con quest’opera, implicita, non detta, ma sottintesa, è che il percorso verso l’indipendenza materiale deve essere onesto. Le qualità delle persone non sono misurate dai soldi che possiedono, ma dalla grandezza d’animo. Purtroppo ne “La dama di picche”, nessuno ne esce fuori bene, né la vecchia contessa, frequentatrice dei salotti sbarazzini dell’alta società e che vorrebbe tornare ai vecchi fasti del passato; né Lizaveta Ivanovna (Liza) che, alla fin fine, introduce dentro casa della contessa un emerito sconosciuto, restando “abbagliata” da un facile amorino con Hermann che non si consumerà.
  • L‘ultima lezione che ci dà Pushkin è quella della pochezza del protagonista, che si trova accidentalmente a provocare la morte della contessa, si trova quindi invischiato in un gioco che si sta a poco a poco ingrossando, senza che lui lo abbia voluto, ma che ormai è entrato nel vortice della perversa anelazione senza scrupoli per il denaro, che poi lo porterà alla pazzia. Ovviamente Pushkin, nel mettere in rilievo la pochezza di Hermann, ce ne dà un giudizio implicito ben preciso e didattico.

Nella storia, il tema della giustizia è centrale. Si potrebbe dire: la qualità di quello che raccogli è dato da quello che semini. Ma c’è anche il tema del misticismo. La magia delle carte e l’affidarsi al Caso è un gioco pericoloso.

E veniamo al collegamento con l’attualità, che è stato ripreso anche dall’editoriale di Limes che ho citato all’inizio di questo post.

L’avidità distrugge il mondo interiore del protagonista. La sete di ricchezza lo spinge alle gesta più terribili: inganno, ipocrisia, minacce e omicidio. Finirà pazzo, ok, ma nel frattempo che cosa ha seminato? Morte e distruzione per nulla.

Ci ricorda qualcuno o qualcosa che abbia attinenza con le cronache attuali?

E qui do un breve ricordo del mio professore di letteratura russa, Igor Shankowskij, che tra l’altro era ucraino. Sebbene riuscii a superare i suoi esami di letteratura russa per il rotto della cuffia, cosa ben nota a chi mi conosce, ho un bellissimo ricordo delle sue lezioni e della sua voce, a parte il fumo di sigarette, tipo Nazionali, che spargeva per la piccola aula al piano terra della mia facoltà universitaria. Ricordo la sua risata greve e chiassosa, quando lanciava i suoi strali contro tutto e contro tutti, riferendosi al paese di origine (allora l’U.R.S.S.).

Chissà che cosa direbbe oggi Igor di quello che sta accadendo nel suo paese di origine. Chissà che cosa direbbe di Putin, della guerra. Chissà dov’è Igor oggi. Grazie per avermi insegnato alcune cose, che io sto riscoprendo solo adesso con il tempo che passa.