Tovarish, Gorbaciov, Do Svidanija

Mikhail Gorbaciov, ritratto ufficiale

È morto Mikhail Sergeevich Gorbaciov, storico segretario generale del PCUS e riformatore dell’Unione Sovietica, fautore della Perestrojka e della Glasnost’, storici concetti che sono entrati anche nel Vocabolario Treccani.

perestròjka s. f. [voce russa, comp. di pere, indicante mutamento, e stroit′ «costruire»; propr. «ricostruzione, riorganizzazione»]. – Termine adottato nella politica interna sovietica e poi accolto dal giornalismo internazionale per indicare l’insieme di riforme politico-economiche (ricambio nei vertici di partito, adozione di nuovi sistemi di rappresentanza ed elettorali, moderato liberismo economico, riconoscimento delle opposizioni interne, ecc.) che caratterizzarono l’azione di Michail S. Gorbačëv a cominciare dal marzo 1985, quando venne a occupare la carica di segretario del Partito Comunista sovietico. A perestrojka era solitamente associato il termine glasnost (v. la voce), spesso tradotto in ital. con trasparenza.

glàsnost s. f. [voce russa, glasnost; propr. «comunicazione, informazione»]. – Termine adottato nella politica interna sovietica negli anni Ottanta del sec. 20° e poi accolto dal giornalismo internazionale per indicare la pubblicizzazione delle notizie politiche, economiche, culturali tramite i mezzi d’informazione (v. perestrojka). La comune, ma non esatta, traduzione con trasparenza è dovuta all’assonanza con l’ingl. glass, ted. Glas, fr. glace, che significano «vetro».

Gorbaciov è stato tanto amato e stimato all’estero, quanto inviso ai russi, durante l’era del suo mandato. La sua perestrojka e la sua glasnost’ furono una ventata di freschezza e rinascita per le libere idee dei russi: nacquero news magazine, giornali e riviste che spuntavano dal nulla come funghi. Fu un periodo bello per tutti coloro che lo hanno vissuto dal vivo e dal di dentro (e io ci sono stato in Russia quando c’era Gorbaciov). Non con i titoloni “sparati” di Repubblica, che all’epoca, in piena era Scalfari, gridava alla libertà a ogni piè sospinto, ma con chi, come me, da studente universitario all’Università Lomonosov di Mosca, ha potuto vedere i capannelli all’uscita delle stazioni della metropolitana di Mosca e Leningrado (oggi San Pietroburgo), con improvvisati comizi da strapaese, dove si discuteva di tutto, dal prezzo delle patate alla possibile efficentazione del lavoro sovietico nelle campagne. Insomma, io c’ero. C’ero nel 1989, la prima volta che andai in Unione Sovietica, come ospite di una famiglia di amici, e poi quando tornai successivamente come studente alla Lomonosov nel 1994 per tutto un semestre invernale. Ma quella è ancora un’altra storia, perché già c’era al potere El’tsyn, il quale aveva già cambiato parecchie cose e già l’Unione Sovietica non esisteva più, almeno come moloch statutario di un passato comunista.

Ma la perestrojka (lett. ristrutturazione) di Gorbaciov mise in luce tutte le contraddizioni del cambiamento, nonché fece già intuire i successivi accaparramenti e speculazioni dell’era successiva, quella di El’tsyn. E con la ristrutturazione che avviò Gorbaciov, i negozi erano vuoti (io li ho visti e non parlo per sentito dire): scaffali lunghi dieci metri con tre pezzi di qualcosa, gettati lì, senza la minima normativa igienica. Cosa che nemmeno nella precedente era Brezhnev si era mai vista. Tant’è vero che molti russi rimpiansero per anni l’era Brezhnev.

Mi si passi il paragone, un po’ tirato per i capelli, ma Gorbaciov è stato per la Russia quello che è stato per noi italiani, Mario Monti. Stimatissimo all’estero e quasi odiato dagli italiani, che fu costretto a mettere in ginocchio a causa del vicino fallimento e delle politiche restrittive europee.

Nessuno, tra i russi, rimpianse la dipartita di Gorbaciov, quando ci fu il colpo di stato nel 1991 e quando arrivò appunto El’tsyn.

A me Gorbaciov ha fatto sempre tanta tenerezza, soprattutto quando uscì di scena, massacrato dai media russi e dall’opinione pubblica. Quando ci fu il golpe, tutti lo videro scendere dalla scaletta dell’aereo, di ritorno dalla Crimea (pensate ai corsi e ai ricorsi della Storia!!!), dov’era in vacanza con la moglie Raissa Gorbaciova. Stanco, prostrato, umiliato, defenestrato senza la minima parvenza di gratitudine, additato poi, anche oggi da Putin, come un traditore della Patria.

Nemmeno lui, e lo ha detto più volte successivamente, si sarebbe mai potuto aspettare del cambiamento a cui aveva dato vita. Gli sfuggì tutto di mano, forse in un modo che nemmeno lui aveva previsto e auspicato. Vuoi o non vuoi, la sua rivoluzione senza sangue è stata però lo stesso una cosa epocale, che quantomeno sarà studiata nei libri di storia della Russia, quando tornerà ad essere un paese democratico.

Oggi la Russia ha celebrato le esequie di un grande uomo del Novecento, quasi in silenzio, vergognandosi del suo passaggio terreno nella Storia del paese. Il che la dice lunga sul livello di democrazia di quel paese, oggi.

Perché non andrò a votare ai referendum sulla giustizia

facsimile scheda elettorare referendum 12 giugno 2022 giustizia

Premetto che sono del segno zodiacale della Bilancia e credo nel fondo di verità che sta dietro all’influsso degli astri sulle persone (se la luna influenza i raccolti, le semine, l’ululato del lupo, perché i pianeti non dovrebbero influire su di noi?). Tra l’altro siamo fatti al 60% di acqua e i pianeti hanno influsso sulle maree. Quindi per me non ci sono dubbi.

Come noto, la Bilancia è il segno zodiacale per antonomasia di coloro che aspirano al senso della giustizia. E del resto la bilancia, intesa come strumento per pesare gli oggetti, è anche il simbolo della giustizia per antonomasia.

Con questo non voglio dare ricette spicciole, ma proprio per questa ragione, ci tenevo a dire che non sono un superficiale e che anzi, la Giustizia, quella con la G maiuscola è un fondamento della civiltà e del quieto buon vivere nella comunità civile e umana.

Questo post non è però polemico (in pieno “stile Bilancia”).

Anzi, sarò breve e circostanziato. I referendum del 12 giugno sulla giustizia sono troppo complessi per essere risolti da un voto di persone che non siano addetti ai lavori. E questo per tante ragioni. Non solo perché noialtri non ne capiamo nulla di giustizia, sul piano tecnico, e tutti gli slogan del Sì o del No sono solamente delle mere semplificazioni un tanto al chilo.

Secondariamente, è la politica, quella che, sulla carta, dovrebbe essere “alta” e nobile, a doversene occupare, senza per questo dover “disturbare” noi cittadini, che appunto non ne capiamo nulla dell’argomento.

Personalmente, mi occupo di marketing digitale, com’è noto. Ho una piccola startup locale che si chiama Pistakkio, ed è attiva in tutta la Regione Toscana. Se mi si domanda che strategie e tattiche si possano o si debbano attuare per migliorare il posizionamento di un sito web, allora sono nel mio campo e posso rispondere. Viceversa, questi referendum mi sembrano un modo, da parte dei partiti e di chi ha proposto i referendum, per lavarsi le mani con l’argomento, demandare le decisioni ad altri ed evitare il compromesso (all’insegna di una non meglio identificata “purezza” o, se ribaltiamo la frittata, “celodurismo”).

La politica è compromesso per definizione (e qui torna il mio essere profondamente Bilancia). Se non si vuole accondiscendere a compromessi, per voler dare in pasto alla propria base elettorale di essere puri e indefessi, allora non si fa politica, bensì propaganda. E io alla propaganda non rispondo, anche perché conosco bene, da addetto di marketing, i meccanismi che si nascondono dietro al marketing, anche elettorale.

Non parlo dei 600 e rotti milioni di euro di spesa inutile per organizzare i referendum, perché scadrei nel populismo.

Che se la risolvano loro, i politici. E dico questo, non per qualunquismo, ma perché è il loro lavoro. Così come quando un mio Cliente mi domanda di risolvergli un problema sul suo sito web.

PS = non andrò nemmeno al mare. Anzi, probabilmente lavorerò!

A dieci anni dal terremoto della Bassa Modenese, non è tutto rose e fiori

la chiesa del voto di modena in via emilia centro dopo il terremoto del 29 maggio 2012

Sono passati già dieci anni. E meno male che stiamo in salute, e che possiamo raccontarla. Sia di quanto accadde dieci anni fa, sia per quanto attiene ai commenti dell’anniversario a cifra tonda. Primo punto.

La prima scossa 5.9 (era 6.1, ma fu ridotta dall’INGV per pagare meno danni) delle 4,02 di notte del 20 maggio 2012 coglie di sorpresa tutti i cittadini della Bassa Modenese e coinvolge anche il capoluogo, dove io ho abitato per diciotto anni, fino al 2013.

Come ricorderà chi era a Modena quel weekend, era un sabato mattina. La sera precedente, quindi venerdì sera fino a notte fonda, c’era stata La Notte Bianca, se non ricordo male secondo esperimento del genere nella città che è stata la mia casa per tanti anni. Ma il primo esperimento della Notte Bianca dell’anno precedente era stato poco seguito, mentre quel secondo anno, ci fu un grande successo.

Io ero stato in giro fino alle 3 di notte e ricordo una città viva, spumeggiante, come lo spumantino o prosecchino che scorreva tra le piazze ricolme di giovani, concertini per strada e nelle piazze. Modenesi e persone arrivate dalle città circostanti, città piena e finalmente una manifestazione che non aveva visto incidenti e i soliti scemi che si mettevano a “giocare” con i cocci delle bottiglie di vetro (come invece accadeva puntualmente tutti i Capodanni in Piazza Grande).

Voglio dire, io ero modenese, seppur di adozione. Diciotto anni non sono bruscolini e, tra l’altro, vivevo in pieno centro storico.

Essendo andato a letto alle 3 di notte, avevo appena preso sonno. Dopo un’ora, alle 4,02, mi svegliai di soprassalto, col letto che vibrava e si spostava. Mi alzai di scatto andai in sala e accesi la luce e vidi i contrafforti del mio appartamento, vibrare forte, come fossero di cartongesso. Stabile in pieno centro storico, costruito nel 1621 (c’è la targa, ancora oggi). Per fortuna restò tutto in piedi, anche se avemmo danni per una dozzina di migliaia di euro alle scale interne condominiali. Tanta paura. E poi le successive scosse “di assestamento”, che arrivavano a 4.0 e oltre, tutti i giorni.

La sommità della Chiesa del Voto di Modena, in Via Emilia Centro, dopo il terremoto del 29 maggio 2012

Il 29 maggio, nove giorni dopo, la scossa ancora più tremenda, almeno per chi stava a Modena, perché ancora più vicina al capoluogo, quella delle nove precise del mattino. Venne giù la palla della Chiesa del Voto, in Via Emilia Centro. Sfiorò una signora, poteva essere una strage, andò bene.

Da allora, passai svariate notti nel mio garage, rannicchiato nel bagagliaio della mia piccola 500, dopodiché, decisi di tornare per un periodo in Toscana.

Il terremoto della Bassa Modenese però fu anche uno spartiacque dal punto di vista della percezione della comunità emiliana di fronte ai prevedibili problemi che ci furono nella ricostruzione. Non è questa la sede per parlare di politica, nemmeno in senso lato, e anche se nel decimo anniversario del sisma modenese sentiremo parlare della tradizionale efficienza emiliana, col faccione del presidente della Regione che s’intesterà trionfalismi, poi se vai a parlare con la gente del posto, ancora oggi, ti ridono in faccia: ci sarà pure una ragione per cui da allora la “sinistra” fa sì e no fatica a raggranellare i suoi voti (e in numerosi comuni abbia ceduto lo scettro del potere, cosa un tempo impensabile).

E questo non è un giudizio, ma pura analisi.

Tutto cambia, nulla cambia, l’analisi degli storici versi “Addio, sporca Russia” di Mikhail Lermontov

Mikhail Lermontov

Sul punto di essere esiliato, nel 1840, Mikhail Lermontov, scriveva questi storici versi, che sono entrati nell’immaginario collettivo del popolo russo e della sua cultura:

Прощай, немытая Россия,
Страна рабов, страна господ,
И вы, мундиры голубые,
И ты, послушный им народ.
Быть может, за стеной Кавказа
Укроюсь от твоих пашей,
От их всевидящего глаза,
От их всеслышащих ушей.


(Михаил Лермонтов, 1840)
Ascolta la poesia, declamata in versione originale

Addio sporca Russia,
Paese di schiavi, paese di padroni,
E voi, uniformi azzurre *,
e tu, popolo che li ascolta.

Forse dietro le mura del Caucaso
mi nasconderò dai tuoi pascià,
dai loro occhi che tutto vedono,
dalle loro orecchie che tutto ascoltano.

* si riferisce al colore delle uniformi della polizia, che perseguitava il popolo n.d.r.

Lermontov era personaggio scomodo. Veniva dalla cultura romantica, che in Russia arrivò con un'”ondata” successiva al Romanticismo europeo occidentale. Il che non vuol dire che gli esponenti del romanticismo russo fossero inferiori, come statura lirica, a quelli del Romanticismo tedesco (su tutti, ovviamente Johann Wolfgang von Goethe, Friedrich von Schiller e Heinrich von Kleist).

Anche il Romanticismo italiano arrivò in ritardo, rispetto a quello originario tedesco, ma anche in Italia abbiamo avuto esponenti che sono entrati nell’Olimpo della letteratura mondiale universale (Leopardi, Foscolo).

Ma torniamo a Lermontov. Dicevo, personaggio scomodo, si diceva allora scapigliato (“spettinato”, la parola deriva dall’opposizione al termine di “parruccone”, che invece rappresentava gli illuministi settecenteschi delle persone che indossavano le parrucche incipriate).

Amori passionali con le donne “sbagliate” (magari donne di uomini potenti), deluso dalla vita, lasciato solo e abbandonato dagli amici. Perseguitato dal potere, che non aveva piacere a vedere questi scapigliati che “pretendevano” di fare i poeti e gli intellettuali “bohémiens”.

Il potere decide di esiliare il poeta nel Caucaso. È il 1841. Poco dopo il poeta morirà, ma farà appena in tempo a lasciarci questi versi che sono, ancora oggi, tremendamente attuali.

Il potere russo, dato dal dispotismo delle “divise azzurre”, la polizia. L’identificazione dello stato russo, come un colosso dai piedi di argilla, che non è nemmeno in grado di “arginare” (leggasi, controbattere con argomenti circostanziati) le critiche di un giovane poeta intellettuale, se non quello di mettere a tacere la sua voce dissonante. Insomma, in otto versi c’è la sintesi della Russia dall’Ottocento a oggi.

La metafora della “Russia sporca”, che rappresenta il paese contadino, provinciale, che dà sempre retta al potere e vive la sua vita a prescindere da chi comanda a San Pietroburgo (ieri) e a Mosca (oggi). Un paese che non può essere “ripulito”, e che quindi è sporco, dal giogo secolare della schiavitù (ieri) e della genuflessione indiscriminata al potere (oggi). Non solo nell’esteriorità delle condizioni di vita, ma anche nell’anima. In questo paese sono tutti schiavi: dai contadini, ai poliziotti, che s’inchinano ai superiori e a loro volta vessano i sudditi, perseguitandoli e sfogando su di loro le loro repressioni. L’assenza di volto e la rigidità della società russa sono enfatizzate dall’uso della metonimia (si indica la parte per il tutto). Invece della frase “gendarmi in uniforme azzurre”, il poeta usa l’espressione “uniformi azzurre”, indicando che nella società russa la persona umana è praticamente distrutta, ridotta alla posizione occupata dall’uno o dall’altro suddito di Sua Maestà lo Zar di tutte le Russie.

Un’altra immagine evocativa è quella dei Pascià, che stanno a indicare la profonda anima orientale che è insita nella cultura russa, ma anche il despotismo che contraddistingue chi domina (ieri e oggi).

Nella poesia, che è costruita secondo il classico tetrametro giambico della poesia russa, c’è l’allitterazione della lettera “r”, che denota la rabbia del poeta, il suo tormento e la sua delusione. Pochi mesi dopo aver scritto questa poesia, Lermontov morirà infatti in esilio nel Caucaso.

Per ovvie ragioni di censura, la poesia di Lermontov non fu mai pubblicata, né nei pochi mesi in cui il poeta rimase in vita, né dopo, postuma (la pubblicazione ufficiale è del 1887, cioè 46 anni dopo la morte del poeta). Tuttavia questi versi si diffusero lo stesso rapidamente tra i giovani intellettuali degli anni Quaranta dell’Ottocento, che criticavano il regime dispotico zarista, come spesso accadde, e accade ancora oggi, nel caratteristico tam tam russo che si diffonde sotto la melma della “nomenklatura” di tutte le epoche (dall’epoca sovietica a oggi).

Tanto per dire, quarant’anni fa erano le canzoni di Bulat Okudzhava (che io ho studiato all’Università) e quelle di Vladimir Vysockij, che tutti i russi conoscevano, salvo poi bisbigliarsele nelle serate con la chitarra, specie se c’erano i vicini di casa che origliavano dalle pareti (di cartone) delle case sovietiche piene di tarakany, i proverbiali scarafaggi di cinque centimetri che ti correvano sul piatto della doccia in qualsiasi casa sovietica.

Ma la poesia di Lermontov, nel denunciare la propria delusione, grida ad alta voce l’amore sincero per la Russia come Madre, la sua natura, la sua bellezza e i suoi costumi: Lermontov fu un fervente patriota, nonostante i suoi rapporti con le autorità.

L’eroe lirico della poesia è triste e deluso, è perso e oppresso. Una sorprendente antitesi è il confronto tra la Russia “sporca” e l’orgoglioso Caucaso libero. La Patria meritava un epiteto così offensivo, perché impantanata in menzogne, servitù, denunce e servilismo.

Due sole quartine sono capaci di riassumere un’intera epoca (e anche il presente) e una descrizione della società dell’Ottocento. Nella prima strofa il poeta dice addio a tutto ciò che lo infastidisce, in questi versi si sentono dolore e delusione. Nella seconda strofa, l’eroe lirico esprime una vaga speranza di trovare il suo posto “dietro le mura del Caucaso”, dove non c’è una disgustosa visione del mondo e le fondamenta caratteristiche di Mosca e San Pietroburgo (“occhi onniveggenti e orecchie che ascoltano tutto”).

Tutti i russi, dal primo all’ultimo, conoscono questi versi, ancora oggi. Quando si dice che la poesia è immortale, si dice una verità universale. A maggior ragione se in otto versi si riesce a condensare l’anima e la storia di un popolo, un governo e una nazione. Attraverso i secoli.

La “Nuova Frontiera” di Vladimir Putin

Stemma della Russia

L’agenzia di stampa RIA Novosti il 26 febbraio scorso, alle 8 in punto del mattino, ha pubblicato un articolo che presumibilmente era programmato in automatico ed è “sfuggito di mano” alla redazione.

Dando per scontata la vittoria schiacciante in due giorni sull’Ucraina, in questo articolo si celebrano i trionfi dell’invasione con toni non molto dissimili dai documentari storici dell’Istituto Luce o della propaganda sovietica nella Seconda Guerra Mondiale.

Questo articolo delirante è stato prontamente cancellato dai server, ma tramite web.archive.org è stato possibile recuperarlo e ne diffondo il testo qua sotto in traduzione. Resta da capire, come mai sia stato cancellato, se davvero deve essere il preludio di un Nuovo Ordine Mondiale.

L’invasione russa e il nuovo mondo

di Piotr Akopov

Un nuovo mondo sta nascendo davanti ai nostri occhi. L’operazione militare russa in Ucraina ha inaugurato una nuova era, in tre dimensioni contemporaneamente. E, naturalmente, nella quarta, che è quella interna alla Russia. Qui inizia un nuovo periodo sia nell’ideologia che nel modello stesso del nostro sistema socio-economico, ma di questo vale la pena parlarne separatamente un po’ più tardi.

La Russia sta ripristinando la sua unità; la tragedia del 1991, questa terribile catastrofe della nostra storia, la sua innaturale dislocazione, è stata superata. Sì, a caro prezzo, sì, attraverso i tragici eventi di una guerra civile virtuale, perché ora i fratelli, separati dall’appartenenza all’esercito russo e ucraino, si stanno ancora sparando a vicenda, ma non ci sarà più l’Ucraina come anti- Russia.

La Russia sta ripristinando la sua pienezza storica, riunendo il mondo russo, il popolo russo, nella sua interezza di Grandi Russi, Bielorussi e Piccoli Russi. Se avessimo abbandonato questo, se avessimo permesso che la divisione temporanea prendesse piede per secoli, allora non solo avremmo tradito la memoria dei nostri antenati, ma saremmo stati anche maledetti dai nostri discendenti per aver permesso la disintegrazione della terra russa.

Vladimir Putin si è letteralmente assunto una responsabilità storica decidendo di non lasciare alle generazioni future la soluzione della questione ucraina. Dopotutto, la necessità di risolverlo rimarrebbe sempre il problema principale per la Russia, per due ragioni fondamentali. E la questione della sicurezza nazionale, cioè la creazione dell’anti-Russia dall’Ucraina e un avamposto per l’Occidente per farci pressione, è solo la seconda più importante tra queste.

Il primo sarebbe sempre il complesso di un popolo diviso, il complesso dell’umiliazione nazionale – quando la casa russa perse la prima parte della sua fondazione (Kiev) e poi fu costretta a fare i conti con l’esistenza di due stati, non uno, e due persone. Cioè, o abbandonare la loro storia, concordando con le versioni folli che “solo l’Ucraina è la vera Russia originaria”, o digrignare i denti impotenti, ricordando i tempi in cui “abbiamo perso l’Ucraina”. Restituire l’Ucraina, ovvero riportarla alla Russia, sarebbe sempre più difficile ogni decennio che passa: la ricodifica, la derussificazione dei russi e l’incitamento ai Piccoli Russi ucraini contro i russi acquisterebbero slancio. E nell’eventualità del consolidamento del pieno controllo geopolitico e militare dell’Occidente sull’Ucraina, il suo ritorno in Russia diventerebbe del tutto impossibile: bisognerebbe lottare per questo con il blocco atlantico.

Ora questo problema è sparito: l’Ucraina è tornata in Russia. Ciò non significa che la sua statualità sarà liquidata, ma sarà riorganizzata, ristabilita e riportata al suo stato naturale come parte del mondo russo. Entro quali confini, in quale forma si consoliderà l’alleanza con la Russia (attraverso la CSTO e l’Unione Eurasiatica o lo Stato dell’Unione di Russia e Bielorussia)? Questo sarà deciso dopo che la fine sarà inserita nella storia dell’Ucraina come anti-Russia. In ogni caso, il periodo della scissione del popolo russo sta volgendo al termine.

Qui inizia la seconda dimensione della nuova era in arrivo: riguarda le relazioni della Russia con l’Occidente. Nemmeno la Russia, ma il mondo russo, cioè tre stati, Russia, Bielorussia e Ucraina, che agiscono nella dimensione geopolitica nel suo insieme. Queste relazioni sono entrate in una nuova fase: l’Occidente vede il ritorno della Russia ai suoi confini storici in Europa. E di questo si indigna a gran voce, anche se nel profondo della sua anima deve ammettere che non potrebbe essere altrimenti.

Qualcuno nelle vecchie capitali europee, a Parigi e Berlino, credeva seriamente che Mosca avrebbe rinunciato a Kiev? Che i russi saranno per sempre un popolo diviso? E nello stesso momento in cui l’Europa si unisce, quando le élite tedesca e francese stanno cercando di prendere il controllo dell’integrazione europea dagli anglosassoni e assemblare un’Europa unita? Dimenticando che l’unificazione dell’Europa è stata possibile solo grazie all’unificazione della Germania, avvenuta secondo la buona volontà russa (seppur poco intelligente). Sfrecciare dopo anche sulle terre russe non è nemmeno l’apice dell’ingratitudine, ma della stupidità geopolitica. L’Occidente nel suo insieme, e ancor di più l’Europa in particolare, non ha avuto la forza di mantenere l’Ucraina nella sua sfera di influenza, e ancor di più di prendere per sé l’Ucraina. Per non capire questo, dovevano essere solo pazzi geopolitici.

Più precisamente, c’era una sola opzione: scommettere sull’ulteriore crollo della Russia, cioè la Federazione Russa. Tuttavia, il fatto che non funzionasse avrebbe dovuto essere chiaro vent’anni fa. Inoltre, già quindici anni fa, dopo il discorso di Putin a Monaco, anche i sordi potevano sentire: la Russia sta tornando.

Ora l’Occidente sta cercando di punire la Russia per il fatto che è stata restituita, per non aver giustificato i suoi piani di profitto a sue spese, per non aver permesso l’espansione dello spazio occidentale ad est. Cercando di punirci, l’Occidente pensa che le relazioni con esso siano di vitale importanza per noi. Tuttavia, non è più così da molto tempo: il mondo è cambiato, e questo è ben compreso non solo dagli europei, ma anche dagli anglosassoni che governano l’Occidente. Nessuna pressione occidentale sulla Russia porterà a nulla. Le perdite dovute alla sublimazione del confronto saranno da entrambe le parti, ma la Russia è pronta per loro moralmente e geopoliticamente. Tuttavia, per l’Occidente stesso, un aumento del grado di confronto comporta costi enormi – e i principali non sono affatto economici.

L’Europa, come parte dell’Occidente, voleva l’autonomia: il progetto tedesco di integrazione europea non ha senso strategico pur mantenendo il controllo ideologico, militare e geopolitico anglosassone sul Vecchio Mondo. Inoltre, non può avere successo, perché gli anglosassoni hanno bisogno di un’Europa controllata. Tuttavia, l’Europa ha bisogno di autonomia anche per un altro motivo: nel caso in cui gli Stati vadano in autoisolamento (a causa di crescenti conflitti interni e contraddizioni) o si concentrino sulla regione del Pacifico, dove si sta muovendo il baricentro geopolitico.

Il confronto con la Russia, in cui gli anglosassoni stanno trascinando l’Europa, priva gli europei anche delle possibilità di indipendenza, per non parlare del fatto che allo stesso modo l’Europa sta cercando di imporre una rottura con la Cina. Se ora gli atlantisti sono felici che la “minaccia russa” unisca il blocco occidentale, allora a Berlino e Parigi non possono non capire che, avendo perso la speranza di autonomia, il progetto europeo semplicemente crollerà nel medio termine. Ecco perché gli europei dalla mentalità indipendente ora sono completamente disinteressati a costruire una nuova cortina di ferro ai loro confini orientali, rendendosi conto che si trasformerà in un recinto per l’Europa. La cui età (più precisamente, mezzo millennio) di leadership globale è comunque finita, ma sono ancora possibili varie opzioni per il suo futuro.

Mentre la costruzione di un nuovo ordine mondiale – e questa è la terza dimensione dell’attualità – sta accelerando, ei suoi contorni sono sempre più chiaramente visibili attraverso la copertura dilagante della globalizzazione anglosassone. Il mondo multipolare è finalmente diventato una realtà: l’operazione in Ucraina non è in grado di radunare nessuno tranne l’Occidente contro la Russia. Perché il resto del mondo vede e comprende perfettamente: questo è un conflitto tra la Russia e l’Occidente, questa è una risposta all’espansione geopolitica degli atlantisti, questo è il ritorno della Russia del suo spazio storico e del suo posto nel mondo.

Cina e India, America Latina e Africa, mondo islamico e sud-est asiatico: nessuno crede che l’Occidente guidi l’ordine mondiale, tanto meno stabilisca le regole del gioco. La Russia non solo ha sfidato l’Occidente, ma ha dimostrato che l’era del dominio globale occidentale può essere considerata completamente e definitivamente conclusa. Il nuovo mondo sarà costruito da tutte le civiltà e i centri di potere, naturalmente, insieme all’Occidente (unito o meno) – ma non alle sue condizioni e non secondo le sue regole.